Opere selezionate

Opere selezionate

Roxan@ - Poesie in volo, raccolta dal 1995 al 2000

Utopia - Racconti e parole in libertà, antologia dal 1995 al 2000

Testi teatrali e fiabe: Prendete i bambini - L'Altro mondo possibile – Gli occhi di Frugolina

Anno 1993 - Lettura interpretativa tratta dal testo teatrale “Il Gioco” in occasione del concorso “Donne sull'orlo” a cura della Scuola Regionale di Teatro del Veneto.
Anno 1994 - Rappresentazione a Padova del testo “Prendete i bambini” nell'ambito della rassegna teatrale “Donne sull'orlo”.
Anno 1996 - Menzione speciale per la fiaba “Gli occhi di Frugolina” Concorso Europeo Omero al Salone del Libro di Torino.



domenica 1 marzo 2020

Roxan@ poesie in volo - Prefazione

RACCOLTA DI POESIE DAL 1995 AL 2000

Scrivere mi aiuta a vivere. 
A quindici anni il mio primo viaggio con la poesia che ancora prosegue.
Le tappe della mia vita, gli incontri, gli amici, amori; i miei bambini di ieri e di oggi. 


Fare poesia non è solamente cogliere e descrivere stupore, è creare, è comunicare. 
Poesia è respirare in sincronia col mondo. 
Sono le emozioni ad accomunarci, a farci riconoscere, a rendere un senso di appartenenza, di identità collettiva. 
Attraverso le mie poesie ho parlato con la gente, e la gente mi ha parlato. 
Così ho scritto di loro, di me, fino a non distinguere più dove comincia la propria storia e dove finisce quella dell’altro. 
Qualcuno talvolta mi ha domandato il significato delle mie parole, ma in poesia non c’è nulla da spiegare. 
Ognuno si appropri di ciò che intende leggendole; da condividere abbiamo solo quel che sentiamo, emozioni. 
Questo provo quando scrivo e la conferma di essere riuscita a comunicare, perché è nata una emozione nell’altro, mi basta e appaga.
“Mi devi scusare, sono ancora io, ma oggi la “mia Sarajevo” era un po’ più grande del solito… per ora non so da che parte ricominciare. Sicuramente esistono drammi più grandi di quelli che si agitano nel nostro cuore; sicuramente a Sarajevo i problemi sono molto più seri dei miei, ma qualche volta anche il nostro cuore vorrebbe sentirsi in pace e vedere la felicità.”
Così mi scriveva in mail un amico di Udine nel 1996. Un amico? Sconosciuti, abbiamo comunicato tramite la poesia. 
È difficile comprendere, per chi non lo vive, come arte e comunicazione si fondino in Rete. 
Perché in Rete passano vissuti, saperi, memorie. Emozioni da trasmettere. 
Il mondo interiore: la felicità dell’amore appena nato o il dolore dell’amore finito, i ricordi di ciò che è stato, il nostro essere o tornare bambini. 
Già, i miei bambini orfani di vita, grandi e piccini. 
Stefano era un buon papà ma l’Aids l’ha portato via.
Agneszka aveva solo una mamma, in Italia al posto del lavoro ha trovato la morte. 
Adriano dai globuli bianchi impazziti. 
Gianmarco che continua a lottare per la vita. 
E i bambini calpestati, il mercato del sesso, le frustrazioni degli adulti sfogate con violenza su piccole vittime. 
Sarah, schiava bambina condannata alla lapidazione per essersi ribellata al padrone. 
E il mondo fuori: il fango di Sarno, il terremoto di Assisi, Sarajevo, rabbia dentro e intorno, sdegno, voglia di rivolta. 
C’è chi lascia questo mondo per sua volontà, Lorenzo l’amico pittore, no non pazzo, soltanto stanco.
Non conoscevo Lorenzo, mi hanno parlato di lui i suoi disegni, i colori dei suoi dipinti. 
Ci sono i ricordi lieti, eventi da ricordare, da celebrare con un festoso girotondo, come la vita che nasce. O che rinasce, nonostante tutto. 
Fabio, piccolo barone rampante che si sveglia un mattino e non può più muovere le gambe, salire sugli alberi, e allora lo disegna quell’albero, e lo chiama l’albero della vita.
Lorenzo non ce l’ha fatta, Fabio sì, io ho rischiato. 
La follia, il caos, l’amore, Rosa Confetto scrive poesie ai ciechi… 
Utopia?

Conosco un bambino da proteggere.
Ha paura del buio. Lo sguardo vago.
Una spina nel cuore. Il suo nome? Mondo.

sabato 1 febbraio 2020

Rosa Confetto



Caro amore mio,
per scriverti questa lettera ho spento tutte le luci,
tutti i rumori e i suoni che mi possono distrarre
da questo mio pensare a te.
Sono rimasta cinque minuti al buio
per scrutare il dentro,
ma il riflesso della sera mi si spara dentro agli occhi
e ancor non posso.
Vedo.
Provo allora a chiuderli, questi occhi stanchi
ma la mia mente, accecata, s'addormenta
e mi è impossibile parlarti nel buio.
La luce della lampada mi è troppo compagna
nell'orgasmo della scrittura.
Lo so che è da pazzi scrivere a un cieco
quando mai un cieco riceve posta?
Posta che parla d'amore.
Ma in questa mia lettera per te, ci metto il profumo
dei pensieri
parole che odorano di confetto
dolciastre e penetranti come l'amore consumato.
Pallido e ovale come il viso di una donna
che ti scivola fra le mani.
E l'assaggio, tutto il sapore,
con la punta della lingua ne solletico il piacere,
retrattile, come un bimbo col gelato.
Goloso e attaccaticcio.
Sazio.
Lo tocco. Lo sfrego tra i polpastrelli
e tutto il mio sentire è incentrato lì,
sulla punta delle dita.
Così accarezzo il mondo.
E poi col calore,
l'involucro si scioglie e si appiccica su me l'odore
il gusto, il colore.
Allora stringo, stringo più forte e lo spezzo.
Con lui mi si spezza il cuore.
Lo pesto sotto ai denti e amara è la mandorla
amaro il sapore dell'amore.
Il confetto non è più un confetto
è un frammento incastrato nei denti
lo smalto sui polpastrelli.
E' la briciola che con rabbia spazzo via dal tavolo
e che poi, raccolgo.
Ho bisogno di sciacquarmi la bocca e le mani
diluire questa mia sofferenza nel tempo
e inghiottirne le lacrime.
E se sfiori la carta, lo senti il mio pianto
non sei più obbligato a cercarmi gli occhi.
Tocca queste righe ondulate
sono il mare, salato.
E se ti soffierai il naso con questo pezzo di carta
indovina, quale tinta ha, l'inchiostro.
Fai una conchiglia di questa mia lettera
e appoggia, come sul grembo di una donna gravida
l'orecchio.
Sentirai le onde che ti portano.
E scopri in quale verso ti mando baci
lo leggerai col cuore
e se domani ti suona alla porta, apri.
C'è posta per te.

mercoledì 1 gennaio 2020

Bambolina

Insaponata, la schiuma nei capelli
ti spruzzo d'acqua l'ombelico
e tu ridi
la testa inclinata
gli occhi a fessura sorridi.
Avvolta nell'asciugamano sul bordo del letto mi fissi,
gli occhi sgranati
sdraiata a braccia allargate sollevi le gambe
palpebre chiuse.
Il lobo del tuo orecchio odora di talco
vedo nastri di raso intrecciati
voglio coprirti, scaldarti, cullarti...
Quegli occhi sgranati.
Piangendo ti ho stretto: “Sei la mia bambolina”.
Pupille di vetro.