(Basho 1644-94)
Un piccolo sole d’Oriente che riflette sopra al villaggio lillipuziano, ombre color tramonto su tremule pareti di carta di riso.
Paradossalmente, pare che esse vibrino, in quel paesaggio statico da pagode illustrate, dai giardini bonsai in cui la mano dell’uomo ha miniaturizzato la natura, fermandone il tempo. Arte o stupro?
Così come ancora la terra respira dei passi felpati di bambine dai piedi fasciati, nessuna traccia da cancellare ai posteri di orme pesanti di donne mature, in cammino.
Costretto il movimento in scatti contriti, l’eterea illusione dell’uomo di controllarne la crescita, annullare vecchiaia, evitare la morte. La donna incarnata nel moto perpetuo.
E allora tra quelle pareti evanescenti di carta di riso, si sincronizza il respiro.
Aroma di the e di rosa, fruscii di seta che accompagnano il tempo che scorre, carezzando le membra. Come abbraccio materno infinito.
A piedi ignudi si va nelle viscere, dentro alla madre, umiltà liberatoria al varco della soglia.
Con piccoli sorsi, s’assapora il tempo diluito. Nel silenzio. A occhi bassi, non occorrono parole. Danzano le ciglia.
Nella casa delle bambole chi gioca alla sposa bambina dagli occhi bistrati. E si acuiscono i sensi, le dita sfiorate, un invito a seguirla.
Fuori, la metropoli impazza di luci colori e rumore.
Ove l’amore è rito, si unisce Oriente a Occidente.