Opere selezionate

Opere selezionate

Roxan@ - Poesie in volo, raccolta dal 1995 al 2000

Utopia - Racconti e parole in libertà, antologia dal 1995 al 2000

Testi teatrali e fiabe: Prendete i bambini - L'Altro mondo possibile – Gli occhi di Frugolina

Anno 1993 - Lettura interpretativa tratta dal testo teatrale “Il Gioco” in occasione del concorso “Donne sull'orlo” a cura della Scuola Regionale di Teatro del Veneto.
Anno 1994 - Rappresentazione a Padova del testo “Prendete i bambini” nell'ambito della rassegna teatrale “Donne sull'orlo”.
Anno 1996 - Menzione speciale per la fiaba “Gli occhi di Frugolina” Concorso Europeo Omero al Salone del Libro di Torino.



giovedì 15 agosto 2013

Storia minimalista



Ora di cena.
Mio figlio legge, mia figlia disegna, sul tavolo della sala da pranzo.
Le cade la scatola dei colori... il vaso d'argento e vetro rotola, si ferma sul bordo del tavolo. 
Tutti immobili a guardare la scena... sono attimi, ma pare di essere alla moviola. 
Lei, io, lui, paralizzati nell'attesa del crollo. 
Il vaso cade. 
Si rompe in mille pezzi. 
Io vado verso mia figlia minacciosa. 
Lei comincia a gridare che non l'ha fatto apposta. 
Mi blocco. 
Le chiedo perché non ha frenato la caduta. Poteva. 
Nello stesso momento mi rendo conto che le medesime parole avrei dovuto rivolgerle a me stessa. 
Già, perché non l'ho fatto? Bastava allungare una mano. 
Tutti ci aspettavamo che cadesse, ed è accaduto. 
Mia figlia dice: "Mamma lo so che ci tenevi tanto, chi te lo aveva regalato?" 
Nessuno. Era della nonna paterna, ora defunta. 
Se fosse stato di mia madre, allora sì, mi avrebbe pianto il cuore. 
In fondo è solo un pezzo di passato, ossidato, che se ne va. 
La consolo. 
Alla notte, mentre lei dorme, le metto un biglietto sui vestiti pronti per la mattina "La mamma vuole molto bene alla sua brava bambina". 
Quando torno dal lavoro, lei è col padre, un disegno in risposta. 
C'è il suo nome, il Titanic, il sole e la luna che si giurano amore. 
Sorrido, e sul tavolo metto il soprammobile con l'immagine della Venere di Botticelli. 
Al posto del vaso d'argento.

sabato 10 agosto 2013

Cammeo



Una piccola donna prende per mano la sua bambina e va per botteghe.
- Scusate, volete comperare bambole? -
- No signora, non son tempi questi per vendere ninnoli. -
- Allora collane, bracciali, anelli... -
- Spiacente, per noi l'oro è merce di scambio. -
- Vi prego, almeno questo cammeo d'argento... E' un dono di nozze, sapete? -
- Grazie, non ci occorre nulla per il momento. -
La piccola donna rinchiuse i suoi ricordi nel fazzoletto.
Lenta s'incamminò con la sua bimba per mano.
Stringendo in pugno l'eredità della figlia.
Piccolo è l'uomo che lascia che accada questo.

giovedì 1 agosto 2013

Cadrà una grande stella nel mio grembo



Mille giorni al Duemila.
Che ne sarà di te, Signora di Lesbo, poeta dai versi più intrisi di humus di donna? 
Tu che hai narrato dell’essere femmina come mai uomo ha osato, di armonie di corpi e pensieri dai sapori di rose, viola e salvia?
“Quale la cosa più bella sopra la terra bruna? Ciò che s’ama. Farlo capire a tutti è così semplice!” scrivesti. 
E ancora: “Tramontata è la luna e le Pleiadi a mezzo della notte; anche giovinezza già dilegua, e ora nel mio letto resto sola”.
Chissà se nel nuovo millennio saremo veramente liberi di vivere ciò che si ama. 
O se, comunque, ci ritroveremo soli, a costruire illusioni. Non fu e mai sarà, così semplice.
“È facile dare l’illusione dell’amore, l’altro ti aiuta sempre." (Anais Nin - Fuoco)
Il mondo ha sempre bisogno di crearsi dei complici.
Elena, la donna più bella, più laida, del mondo. Colei che abbandonò marito e figli per rincorrere un amore. O una effimera chimera. Lo seguì, sul mare. 
Elena, rea di aver seminato morte sulla sua terra, condannata per l’eternità a infagarne il nome, come una perenne maledizione degli dei.
Elena, troppo bella, troppo umana per essere dea, in quel tuo abbandono, in quella tua fuga, sulla tua scelta d’amore, si concentrò l’odio del mondo. Sommi poeti han scritto di te, senza conoscerti. E ai comuni mortali, nel nuovo millennio, verrà tramandato il tuo nome di donna perduta. Col sorriso beffardo dei giovani che leggono di storia.
Così come dal primo millennio, ci giunge l’eco del riso: Cassandra.
La pazza. Con le sue veggenze, profezie funeste, verità divinatorie da soffocare e rinchiudere in silenzi ovattati. Cassandra, menti da elettroshock, fino a ridurne in cenere ogni alito di pensiero. Ancora oggi fan paura. In mondovisione l’emotività, l’irrazionalità, puro spirito. Coi loro vaneggiamenti, al limite tra follia e saggezza, voci da inascoltare. Parole più pericolose di armi. Le armi uccidono, le parole procreano. E si rigenerano.
Quante Cassandre, al confine del nuovo millennio, a cui mozzare le lingue. Stupri dell’anima.
Medea, la storia delle donne, la conosceva bene.
Giovane strega, bellissima, dai poteri magici. Per amore, tradisce il suo popolo, il padre, si macchia del sangue del fratello. Dona giovinezza al suo amato e perde la sua. Invecchia. Viene abbandonata per una donna più giovane e più bella, la figlia del re.
Medea dà in escandescenze, si strappa i capelli, grida, sono le stesse donne a consigliarla di rassegnarsi, di pensare ai figli. Ma Medea non accetta il ripudio, lei che tutto ha sacrificato a un uomo. Non è legge di Dio, ne’ legge di natura, è legge di uomini. Da lei non voluta ne’ sottoscritta. Medea finge la rassegnazione, quieta, zitta, sola come morta. Ma è viva, ancora.
Lucida nella sua disperazione, coi suoi poteri magici uccide la futura sposa e il padre di lei. Medea uccide i propri figli. Perché? L’allegoria dell’infanticidio simboleggia l’estrema ribellione alle catene degli uomini, l’avvenuta liberazione da un mondo costruito dall’uomo su sua misura.
Medea, cagna rabbiosa o pazza d’amore? Donna assassina o donna assassinata? Lei, bellissima strega, fata per amore di un uomo; vecchia strega, brutta e cattiva, che fugge sopra un carro alato.
Forse nel nuovo millennio la vedremo ancora volare.
Diversa fu la sorte toccata a Penelope.
Oggi non ci sono più Penelopi. Ma donne in perpetua attesa, sì. Di un uomo, di un amore, di uno sposo.
Nel terzo millennio saremo davvero capaci di essere donne e uomini nuovi? Con la memoria del già vissuto e l’utopia nel divenire? Quanto siamo disposti a investire, o a rinunciare, in questa corsa così senza fiato?
Donne, finalmente non più muse o prostitute. E uomini, mai più eroi o vili. Ma entrambi, essenze.
Da assaporare a gocce. Come granelli di sabbia che scorrono nella clessidra. Il tempo della memoria che si dilata fino a espandersi nel futuro.
Fino a che: “Cadrà una grande stella nel mio grembo”.