Opere selezionate

Opere selezionate

Roxan@ - Poesie in volo, raccolta dal 1995 al 2000

Utopia - Racconti e parole in libertà, antologia dal 1995 al 2000

Testi teatrali e fiabe: Prendete i bambini - L'Altro mondo possibile – Gli occhi di Frugolina

Anno 1993 - Lettura interpretativa tratta dal testo teatrale “Il Gioco” in occasione del concorso “Donne sull'orlo” a cura della Scuola Regionale di Teatro del Veneto.
Anno 1994 - Rappresentazione a Padova del testo “Prendete i bambini” nell'ambito della rassegna teatrale “Donne sull'orlo”.
Anno 1996 - Menzione speciale per la fiaba “Gli occhi di Frugolina” Concorso Europeo Omero al Salone del Libro di Torino.



domenica 1 dicembre 2013

L'uomo che avrei voluto essere



Sono sempre stato restio a raccontare a chicchessia questa storia.
Forse per paura di essere preso per visionario o pazzo, o più inconsciamente perché, ogni volta che riaffiora alla mente, provo un'oscura sensazione d'angoscia, simile a quella che deve aver provato il primo uomo comparso sulla terra, convinto che da un momento all'altro il cielo gli sarebbe piombato sulla testa.
Tutto ebbe inizio un mattino di marzo, quando, sfogliando un giornale a fumetti, mi colpì l'annuncio di un concorso letterario, incentrato su una storia di fantasmi da ambientare in una biblioteca.
Ora, dato che di mestiere faccio il giornalista, e per me scrivere pare sia una dote innata, trovai l'idea alquanto stimolante, e così mi apprestai immediatamente a comporre il mio primo racconto sugli spettri, con una spolveratina, tanto per rimanere in tema, di spirito umoristico, ossia con sano humor nero.
Ironia della sorte volle che, proprio nell'attimo fuggente della suprema ispirazione, suonassero alla porta.
E così, mentre le mie idee si libravano alte nel cielo come palloncini sfuggiti di mano, mi ritrovai con la testa completamente vuota e tra le mani un telegramma.
Telegramma proveniente da Campolungo, ridente paesello, ma perché poi ridente? Avete mai visto un paesello ridere? Dicevamo, ridente paesello, per lo più sconosciuto al mondo dei vivi, luogo d'origine dei miei nonni materni.
Quel nome risvegliò in me antichi ricordi d'infanzia, i viottoli di campagna, il carretto del gelataio, il birroccio del latte, la chiesa, la scuola, mia nonna che faceva la bidella nella scuola del paese...
Ma sì! La scuola! Come avevo fatto a non pensarci prima?
Quella vecchia scuola, coi banchi di legno, il buco per il calamaio, la gigantesca lavagna d'ardesia su cui, mentre la nonna intorno spolverava, mi divertivo a disegnare soli, casette, omini alla Mirò.
La vecchia scuola, dove andare a caccia di tesori: figurine, quaderni sgualciti dalla copertina nera, mozziconi di colori dimenticati da qualche scolaro distratto o “negligente”...
E come dimenticare quel giorno memorabile in cui la nonna, custode di tutte le chiavi come S. Pietro, aprì quell'aula rimasta sempre chiusa, proibita alla mia vista, neanche fosse stata la camera di Barbablu, e ripostiglio segreto di ogni mia fantasia infantile.
Ricordo ancora quegli alti scaffali, carichi di libri polverosi. Io, ginocchioni sulla panca di legno, per arrivare alla massiccia scrivania col ripiano verde.
Quante ore trascorsi in quel luogo, avvolto nei miei sogni di bambino da un'aura di mistero, sfogliando vecchie pagine ingiallite da un tempo che, allora, mi pareva eterno.
La biblioteca della vecchia scuola! Quale ambientazione migliore per la mia storia?
Dovevo assolutamente recarmi in quei posti, ricreare l'atmosfera di allora, tornare in quel luogo ancor pregno di sensazioni, impressioni, fantasie, scaturite dalla mente di uno, cento, mille bambini.
Non mi fu difficile riconoscere la vecchia scuola, anche se ormai decrepita, cadente, abbandonata, come una vecchia signora ottuagenaria dal volto rugoso di fitte ragnatele, e con dita adunche, abbarbicata all'edera rampicante.
Il cuore mi batteva forte mentre mi avvicinavo alla porta della biblioteca.
Chissà, se avrei ritrovato ancora l'antica scrivania, quei libri polverosi resi forse ormai illeggibili dall'incuria del tempo, degli uomini...
Uno stato di stupore indescrivibile mi colse, allorché, varcata la soglia, mi si presentò davanti agli occhi l'immagine dei miei ricordi, materializzatisi improvvisamente.
La biblioteca era completamente intatta, come io, bambino, l'avevo lasciata l'ultima volta che vi ero entrato, come se non fossero trascorsi più di trent'anni da allora.
Mi accostai, quasi con un senso di religioso rispetto, alla scrivania, e notai che sopra il ripiano era riposto un quaderno, di quelli di una volta con la copertina nera, aperto.
Sul foglio ingiallito, vergato con una grafia tipicamente infantile, si leggeva:
“Tema: L'uomo che avrei voluto essere”.
Uno strano impulso s'impadronì di me e, come uno scolaro diligente, mi sedetti alla scrivania e iniziai a svolgere il mio compito.
La situazione in cui mi ero venuto a trovare, era quanto di più grottesco mi fosse capitato nella vita, perfettamente conscio dell'assurdità di ciò che stavo facendo, ma contemporaneamente, spinto da un'energia interiore, quasi come se una mano invisibile guidasse le mie parole.
Terminato di scrivere, richiusi con cura il quadernino, e me ne andai, volgendo ancora un'ultima volta lo sguardo alla biblioteca della mia infanzia.
In quegli istanti, un marasma di pensieri sconvolgeva il mio cervello, fino a giungere alla drastica conclusione che mi ero comportato da perfetto imbecille.
Quindi, per ripristinare una minima parvenza di credibilità, decisi di entrare nel bar del paese a bermi un caffè, caffè di cui, oltretutto, sentivo fortemente il bisogno.
Nel locale, il bancone di legno era stato sostituito da un altro in formica e acciaio, anche i tavolini per fare la briscola erano scomparsi, mentre al posto del vecchio flipper si trovavano adesso i videogiochi.
Notai inoltre, che pure i capelli della barista avevano assunto una colorazione diversa rispetto all'originale, definibile tra il violaceo e l'azzurrognolo... Tutte meraviglie della tecnica moderna!
Anche lei comunque parve riconoscermi e, mentre sorseggiavo il mio caffè, mi domandò che cosa mi avesse ricondotto in quel posto, ormai dimenticato da Dio e dagli uomini.
Io, naturalmente, omettendo ogni particolare riguardo la biblioteca, le raccontai di essere tornato per motivi di lavoro, poiché dovevo scrivere un articolo sulla storia della scuola del paese.
Fu così chiacchierando, che lei mi narrò di una tragica vicenda, accaduta circa trent'anni prima, della giovane maestra del paese che, sedotta e abbandonata, si suicidò gettandosi dalla finestra della biblioteca della vecchia scuola. 
Correva voce a quel tempo in paese che, al momento dell'insano gesto, la povera ragazza aspettasse un bambino.
Questa drammatica storia mi turbò profondamente, e un greve senso di malinconia mi accompagnò per tutto il viaggio di ritorno.
Arrivato a casa, dopo una doccia rilassante, mi sedetti alla scrivania, accingendomi a riprendere il mio racconto sui fantasmi.
Mi accorsi solo in quel momento che, preso dalla frenesia dei miei ricordi, non avevo ancora aperto il telegramma.
Diceva:
"Componimento: 10 e lode. La maestra”.